Cinque stelle del Sud

GiovanniDelloIacovo
19 min readJul 22, 2019

L’astronomia di Michele Guerriero ha osservato cinque paradigmi positivi a Gioia Tauro, nella Murgia appulo-lucana, a Nola, in Basilicata e nei vigneti piantati tra il 37° e il 41° parallelo Nord che attraversano l’Italia.
Le stelle del Sud” appaiono, alla fine delle velocissime 98 pagine edite da Rubbettino (Collana “Problemi aperti”, 2009, € 9), appunto, stelle: brillano di luce propria, per una fusione di intuizioni che a malapena illumina le possibili «nuove rotte per far ripartire l’Italia» che, nel sottotitolo, l’autore assume tracciate da tali cinque «eccellenze del Mezzogiorno».
Per intrattenersi ancora un poco nella metafora, il porto di Gioia Tauro, il distretto del mobile imbottito, l’interporto campano, il petrolio e il gas lucano e il vino meridionale sembrano tenersi ben al di sotto del limite di Eddington: brillano ma non tanto da dissolversi.

Sir Arthur Eddington è l’astrofisico britannico che disse la celebre frase: «Se un esercito di scimmie battesse per un tempo sufficiente sui tasti di macchine da scrivere, produrrebbe prima o poi tutti i libri del British Museum».
Guerriero non vuole aspettare tutto quel tempo e come lui la pensa Pellegrino Capaldo, ex signore del credito capitolino, che, nella prefazione, è apodittico: «Oggi non abbiamo più un problema-mezzogiorno; abbiamo piuttosto un problema-Italia che, nella sua complessità, ingloba anche la piccola questione meridionale. Ed è vano pensare che il Sud possa fare apprezzabili passi avanti se non si risolvono alla radice i problemi dell’intero Paese».

Il 19 maggio scorso, la tesi di Pellegrino Capaldo, sull’anacronismo di una specifica politica economica e «di interventi addizionali» per il Sud, è uscita per estratto sul “Corriere della Sera” e ha fatto scaturire un dibattito scoppiettante. Un dibattito che potrebbe rubare il titolo a un libro di Gianfranco Viesti, fatto uscire sei anni fa per Laterza: “Abolire il Mezzogiorno”.
Fra gli ultimi ad avere contraddetto il giudizio che appare, con argomenti più distesi, nella prefazione di “Stelle del Sud”, c’è Sergio D’Antoni, siciliano, dal 1991 al 2000 segretario generale della CISL, attuale Responsabile delle Politiche del Mezzogiorno per il Partito Democratico. «Nella gara della competizione nazionale e globalizzata –ha scritto D’Antoni sul “Corriere” del 1°giugno-, il Sud è paragonabile a un corridore zavorrato, a cui si chiede il miracolo di correre come tutti gli altri. Questa zavorra va rimossa perché non frena solo la crescita del meridione, ma rallenta lo sviluppo di tutto il Paese. Se è vero che l’Italia ha bisogno di elaborare una strategia unica per rilanciare la propria competitività in Europa e nel mondo, questa strategia non può che partire dalle zone deboli del Sud. Dice bene Capaldo, il nostro è un paese “compresso”, con grandi potenzialità ma grandi difficoltà ad esprimerle. Ma dove si presentano maggiormente tali potenzialità? E dove si infrangono? Nelle aree sottosviluppate del Mezzogiorno».
Più interessante è osservare come è densa di contraddizioni la riflessione suscitata nell’area culturale di centrodestra, sondata dall’agenzia di stampa “Labitalia” del Gruppo ADN Kronos. Il sottosegretario al Lavoro, Pasquale Viespoli, uno dei primi sindaci dell’era del maggioritario, alla guida di Benevento, dà ragione a Capaldo ma punta l’indice sulla qualità dei governi regionali che, in particolare nel Sud Italia, hanno un ruolo più accentuato «a cominciare dall’uso dei fondi comunitari. I bandi per i fondi strutturali tardano a partire: siamo nel 2009 e stiamo parlando della programmazione comunitaria 2007–2013». Viespoli propone «una conferenza dei servizi permanente, che funga da coordinamento, anche se difficile da realizzare perché è complicato condividere indirizzi diversi e il coordinamento potrebbe essere visto come un’interferenza nelle politiche regionali».
Uno che regge almeno un capo dei cordoni della borsa pubblica, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega al CIPE, Gianfranco Micciché, altro siciliano, sostiene che il giudizio di Capaldo «sarebbe stato in assoluto condivisibile, in una situazione diversa. Ma se mettiamo insieme l’articolo di Capaldo con le dichiarazioni di Castelli, che ieri ha dichiarato che è il Sud che paga per tutto il Paese e non viceversa, finiamo per capire che è il meridione che aiuta il settentrione».
Il riferimento di Micciché è al collega ministro per le Infrastrutture, il leghista Roberto Castelli che, a Brescia, il 18 maggio scorso, in occasione degli Stati generali della mobilità in Brianza, si era gloriato della sottrazione di 4 miliardi di euro dai Fondi per le Aree Sottoutilizzate per far fronte alle misure anti-crisi e a quelle per il terremoto in Abruzzo: «Per la prima volta dall’insediamento del nostro governo –ha detto Castelli– è il Sud che paga per tutto il Paese e non viceversa».
Un “incidente” che Micciché registra dolente: «La questione è che in tutto il Paese si continua a parlare della questione settentrionale e meridionale, ma con un’attenzione maggiore alla prima. Noi meridionali per primi non ne possiamo più di questa questione meridionale, ma quantomeno non bisogna togliere al Sud per dare al Nord». Insomma: «Il Sud può anche rinunciare a quote aggiuntive, ma non ci possiamo permettere di perdere quote».
Più netto il presidente della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo, che ha afferrato a due mani la controversia al punto da azzerare, il 26 maggio, la Giunta regionale di centrodestra e aprire un confronto a tu per tu col presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi. «Tutto si può dire –ha detto il fondatore e leader del Movimento per l’Autonomia, commentando le tesi di Capaldo sempre con “Labitalia”-, tranne che negare che questo ritardo c’è e che negli ultimi anni si è acuito. Ciò è frutto anche delle politiche pubbliche che hanno destinato al Sud meno che al resto d’Italia». Come esempio, Lombardo cita le spese in conto capitale delle maggiori imprese pubbliche nazionali, calcolate sui valori cumulati 1996–2006 e attingendo a dati del Ministero per lo Sviluppo economico: «Al Mezzogiorno l’Anas ha destinato il 41,7% dei propri investimenti, l’Eni il 36,9%, l’Enel il 32,7%, le Poste il 26,4%, le Ferrovie un modestissimo 19,7%. E se si guarda alle spese in conto capitale della Pubblica Amministrazione — quindi infrastrutture e trasferimenti alle imprese — meno del 35% va al Mezzogiorno. Sono percentuali che si commentano da sole e che non aprono prospettive di sviluppo ma le chiudono, non consentono di recuperare gap infrastrutturali ma li accentuano».
“Labitalia” ha raccolto anche il parere del nuovo presidente di Confindustria Calabria, Umberto De Rose, succeduto l’estate dell’anno scorso a Filippo Callipo, uno capace di dire cose dirompenti e controcorrente ma che, accomiatandosi, fece appello a tutt’altro che a politiche ordinarie per il Sud. «Sono convinto –disse Callipo– che la società calabrese sia migliore del ceto dirigente e che, finché non vi sarà un radicale mutamento di prospettiva, un nuovo orgoglio ed una nuova assunzione di responsabilità da parte del ceto dirigente, davvero poco potrà cambiare. Oggi ciò che mi preoccupa, in particolare, è il destino incerto dei fondi comunitari. Alle superficiali comunicazioni di qualche tempo fa, succede, oggi, una preoccupazione non prevista che però manda in tilt del tutto il sistema delle imprese. Dinanzi al fallimento di un impegno più generale, servirebbero rimedi straordinari, ma noto che le risposte rientrano sempre in una normalità che trova un equilibrio nella mediocrità».
De Rose, dopo un anno di guida degli industriali calabresi, a Capaldo risponde: «Non sono d’accordo sul fatto che non esiste più una questione Mezzogiorno, perché l’intero Sud ha delle specifiche carenze strutturali rispetto al resto del Paese. Come i ritardi nelle infrastrutture, una politica del credito poco efficace per le imprese e una pubblica amministrazione più inefficiente, senza dimenticare servizi inadeguati e un problema sicurezza che va affrontato con forza. Si deve capire che senza il Mezzogiorno non si va da nessuna parte. È necessario un nuovo modello di sviluppo, una nuova idea per l’intero paese, perché abbiamo ancora un capitalismo e un tessuto imprenditoriale debole, e servono riforme della pubblica amministrazione e più vocazione all’innovazione. Ma un nuovo scenario per il Paese non può non tenere all’interno una politica specifica per il Sud».
Un pezzo importante del «ceto dirigente» evocato da Callipo, il vicepresidente della Regione Calabria, Domenico Cersosimo, è protagonista, in questi giorni, di una nuova rottura delle Regioni nei confronti del governo nazionale: «Hanno messo in piedi un modello asimmetrico sul principio costituzionale della leale collaborazione quando hanno interesse a prendere allora si fanno e si rispettano le intese, come per il federalismo fiscale, il terremoto dell’Abruzzo, gli ammortizzatori sociali in deroga. Alle nostre richieste, invece, il Governo resta sordo e addirittura inadempiente anche sugli accordi che ha firmato. Poi, si è oltrepassato ogni limite, come è avvenuto per i fondi Fas, le cui risorse nazionali sono state riprogrammate ben quattro volte». Interrogato un paio di mesi fa sulle tesi di Capaldo, Cersosimo si diceva d’accordo: «Esiste un “problema Paese”, anche se con sfumature diverse al Sud. Un Paese che non cresce rispetto agli altri stati avanzati d’Europa rispetto a tanti aspetti, Naturalmente esiste un’intensità di problematiche differenti tra Nord e Sud, quello che al Nord è bianco, nel Mezzogiorno è grigio. Ci sono “colorature” più accentuate nel Mezzogiorno, ad esempio nella sanità e nell’istruzione, dove tutto il Paese che ha delle difficoltà, che qui sono maggiori. Ma, se si guardasse la realtà non da diecimila metri d’altezza, ma da più vicino, si vedrebbe che a Sud ci sono le eccellenze e che i tratti di normalità superano le patologie. Esiste una complementarietà tra Nord e Sud del Paese, uno è necessario all’altro e viceversa».

Ecco, le eccellenze: quelle di cui parla Guerriero.
L’autore è un giornalista di 32 anni, nato a Massafra, in provincia di Taranto, attualmente direttore generale della Impronta S.r.l., società editrice dell’agenzia di stampa “Il Velino”, fondata da Lino Jannuzzi, testata giornalistica che lavora da insider nei palazzi della politica e della finanza nazionale. Guerriero è considerato un intellettuale di area politico-culturale di centrodestra: è stato coordinatore della rivista “Charta Minuta” dell’esponente di Alleanza nazionale Adolfo Urso; ha diretto “Formiche”, la rivista fondata da Marco Follini, fino a quando l’ex segretario dell’UDC non formalizzò il suo appoggio a Romano Prodi.
La casa editrice Rubbettino è stata fondata nel 1972 da Rosario Rubbettino a Soveria Mannelli, in provincia di Catanzaro. Fra i suoi autori ci sono Alberto Abruzzese, Pino Arlacchi, Cristopher Duggan, Emanuele Macaluso, Leonardo Sciascia, Gianni Vattimo, Elemire Zolla. Programmaticamente ha pubblicato Ludwig von Mises e Friedrich von Hayek, perché, come dice l’auopresentazione della case editrice, esprime la «volontà di trovare una collocazione editorialmente coerente ad una linea di pensiero liberale in politica, liberalista in economia, “individualista” nelle prospettiva metodologiche».
Le orme del fondatore della casa editrice, scomparso nel 2000, sono state seguite dai figli Florindo e Marco. Il primo è amministratore unico del Gruppo ed è anche presidente dei giovani di Confindustria Calabria. La casa editrice ha anche istituito, assieme alla Provincia di Cosenza, una Fondazione Rubbettino, affidandone la presidenza ad Alberto Sciumè, un “super avvocato” vicepresidente di A2A, il colosso multiutility nato dalla fusione tra AEM Milano e ASM Brescia, in predicato di entrare nel consiglio di amministrazione della società di gestione EXPO 2015 di Milano.
Alla fine di agosto dell’anno scorso, Florindo Rubbettino ha proposto l’istituzione di una no tax area in Calabria: l’azzeramento per dieci anni delle imposte sul reddito delle imprese e un’aliquota di imposta dimezzata rispetto a quella nazionale per i successivi cinque.
La proposta arrivava nei giorni in cui si attendevano gli esiti dell’istruttoria che il Gruppo Tecnico del Dipartimento per le Politiche di Sviluppo del Ministero dello Sviluppo Economico stava conducendo sulle candidature a Zona Franca Urbana.
La disciplina delle ZFU era contenuta nella Legge Finanziaria 2007 che riservava la misura al solo Mezzogiorno. Fu modificata dal Governo di centrodestra entrato in carica l’8 maggio 2008 non solo per le prime spinte leghiste e per il dibattito sulla prevalenza di una “questione settentrionale” che aveva preso piede anche nel centrosinistra, ma anche in accoglimento delle indicazioni della Direzione Generale Concorrenza della Commissione europea, che avrebbe considerato distorsivo ed elusivo, e quindi inammissibile, un dispositivo a vantaggio di una sola parte del Paese, peraltro già destinataria di aiuti e fondi strutturali.
L’effetto fu di vedere incluse, tra le 18 città cui riservare la prima annualità della sperimentazione di ZFU, anche Massa Carrara che ha un indice di reddito pro-capite che la colloca al 34° posto in Italia, come non mancarono di osservare Comuni “esclusi” eccellenti come quello di Foggia.

C’è un caso che fa scuola in tutta Europa, non foss’altro perché è stato creato per via giurisprudenziale in una materia, quale quella della fiscalità, dove si gioca tutto l’impianto del novum, sul piano del diritto internazionale, costituito dall’Unione Europea: è il caso delle Azzorre, dal 1976 regione autonoma del Portogallo con regime fiscale “speciale”. La Corte di Giustizia delle Comunità Europee (la “Corte Costituzionale” dell’UE), nella sentenza C-88/03 del 6 settembre 2006 ha fatto un ragionamento che impatta con il federalismo fiscale che stiamo per realizzare in Italia e anche con il “cuore” della tesi di Capaldo abbracciata da Guerriero in “Stelle del Sud”.
La CGCE ha affermato che il regime fiscale delle Azzorre, determinato dalla «decisione del governo della Regione autonoma delle Azzorre di esercitare il suo potere di riduzione delle aliquote d’imposta nazionale sul reddito, al fine di consentire agli operatori economici della regione di superare gli svantaggi strutturali derivanti dalla loro ubicazione in una regione insulare e ultraperiferica, non è stata adottata nel rispetto» del principio che le misure fiscali devono avere carattere generale e non selettivo.
«Agire sulla scorta di una politica di sviluppo regionale o di coesione sociale –prosegue la sentenza della Corte- non è sufficiente affinché una misura adottata nel contesto di tale politica sia considerata per ciò solo giustificata. Di conseguenza, il governo portoghese non ha dimostrato che l’adozione da parte della Regione autonoma delle Azzorre delle misure in questione fosse necessaria al funzionamento ed all’efficacia del sistema fiscale generale. Detto governo si è limitato unicamente ad un’affermazione generale in tal senso, senza apportare elementi precisi a sostegno. Non ha, perciò, dimostrato che le misure in questione siano giustificate dalla natura o dalla struttura del sistema fiscale portoghese».
Insomma, le conseguenze di queste affermazioni sono due: una esterna e una interna al sistema fiscale. Quella esterna riguarda gli scopi per cui vengono messe le tasse: nel caso italiano, una “missione Mezzogiorno” deve essere assunta negli scopi generali in modo che tutta la platea dei contribuenti nazionali se ne faccia carico. Quella interna, riguarda la potestà di imporre fiscalità selettiva da parte di una regione, che può essere esercitata solo nel caso vi sia autonomia piena, in alcun modo compensata (finanziariamente coperta) dall’erario, cioè da tutti.
Si intuisce come questo sia lo snodo essenziale che fa assumere una curvatura critica e problematica ai nuovi assetti “federali” che l’Italia si sta dando. Se il Mezzogiorno smette di essere problema italiano, la partita della fiscalità di vantaggio si gioca tutta su una competizione estrema fra territori, senza possibilità di “paracadute” compensativi: è ciò che la propaganda critica del federalismo fiscale, introdotto dal nuovo articolo 119 della Costituzione, chiama “disgregazione territoriale”.
Illuminante è il commento dell’ex ministro delle Finanze, Augusto Fantozzi, che ha preso un titolo serioso (“La sentenza della Corte di giustizia C-88/03 e il dibattito sul federalismo fiscale e sulla fiscalità di vantaggio in Italia”) su astrid-online.it [http://www.astrid-online.it/il-sistema1/Interventi/Fantozzi_27_09_06.pdf] e un titolo più tranciante (“L’Europa ipoteca il federalismo fiscale”) sul “Sole 24 Ore” del 28 settembre 2006.
Come per le rotte dei salmoni, quando si parla di fisco bisogna costantemente fare “su e giù”, a costo di risalire faticosamente la corrente di discorsi specialistici, per arrivare alla fonte dello “stare assieme” di una comunità nazionale.

Essere zona franca è la prospettiva di una delle “Stelle del Sud” osservate da Guerriero, quella più dentro l’imminenza dell’istituzione dell’area di libero scambio euro-mediterranea: il porto di Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria, sulla famigerata A3 Salerno-Reggio, a 85 chilometri dall’aeroporto di Lamezia Terme. Nel libro, che è condotto nello stile dell’inchiesta sul campo, sono raccolte le riflessioni di Rodolfo De Dominicis, commissario straordinario “per le attività di rilancio e sviluppo del porto di Gioia Tauro come piattaforma logistica del Mediterraneo”, nominato a maggio 2007 dall’allora premier Romano Prodi; del presidente della Regione Calabria, Agazio Loiero; del presidente dell’Autorità portuale, Giovanni Grimaldi.
Tutti e tre affermano cose analoghe a quelle che, con diverse sfumature, dicono i contraddittori della tesi che vorrebbe “abolire il Mezzogiorno”.
Il pre/testo del libro è il con/testo, c’è poco da fare. Ma il testo è il racconto, dovizioso di particolari, di realtà modernissime a cui sembra manchi riconoscibilità “nazionale”.
La decina di pagine dedicate a Gioia Tauro è emblematica. Parte con la descrizione dell’ingresso nel porto di “Daniela”, ammiraglia della flotta della compagnia italo-svizzera MSC, costruita nei cantieri sudcoreani Samsung, lunga 366 metri, capace di trasportare 14 mila TEU. La “T” di questa unità di misura standard del trasporto marittimo mondiale sta per “Twenty-Foot”, 20 piedi, oltre i “nostri” 7 metri. Considerando che un container è lungo dai 20 piedi ai 40 piedi, “Daniela” è in grado di trasportare fino 700 container, i parallelepipedi che possono essere montati su un TIR, su un treno merci o appoggiati su una nave e dentro cui attualmente viaggia il 90% delle merci cargo del mondo.
Quando parliamo di Gioia Tauro –scrive Guerriero– stiamo parlando del più grande hub marittimo italiano, che negli ultimi anni si è conteso il primato con il porto della spagnola Algerciras per i traffici di container nel Mediterraneo. In Europa si colloca tra il quinto e sesto posto, dopo porti che fanno numeri da capogiro come Rotterdam, Amburgo, Anversa, Brema e appunto Algerciras. Il porto calabrese è collocato al centro delle direttrici tra Suez e Gibilterra, per questo ha sostituito lo scalo di Malta, quale nodo di distribuzione dei traffici che vengono dal Nord America e dall’Estremo Oriente e si dirigono verso il Mediterraneo sia centrale che orientale».
Tre pagine avanti, il libro introduce le nuove coordinate della battaglia navale che si sta combattendo nel Mediterraneo: Tangeri, in Marocco, e Port Said, in Egitto. «Ambizione e aggressività sono le parole d’ordine di questi due nuovi scali posizionati molto bene sulla cartina geografica –scrive l’autore–. Secondo il “Financial Times”, nel 2006, il 7% circa del commercio mondiale è passato dal Canale di Suez che nel 2005 ha procurato all’Egitto entrate per 2,7 miliardi di euro, per questo l’Egitto ha pensato di investire cinque miliardi di dollari in cinque anni per rendere più profondo il canale (…) I marocchini hanno pensato e progettato Tanger Med come una zona franca (cosa che a Gioia Tauro è prioritario realizzare!) dove le aziende possono organizzarsi per immagazzinare, imballare ed etichettare le merci e si preparano in futuro anche a trasformarle e manipolarle nella zona industriale in costruzione. Il Marocco ci crede così tanto che sta già pensando a una Tanger Med 2 in grado di movimentare, quando sarà costruita a regime, 8,5 milioni di container. Per ora a Tangeri sono stati investiti 1,7 miliardi di euro».

Tanger Med

A De Dominicis gliene bastano 20–30 milioni su un totale di un miliardo in 6–8 anni. «È lui stesso a dirmi che “da parte del Governo centrale c’è bisogno di un colpo di reni” –scrive Guerriero aprendo e chiudendo le virgolette-. Anche perché gli altri competitor non aspettano i nostri contenziosi o i ritardi tattici della politica. Poi, se pensiamo che il ponte sullo stretto costerebbe quasi quattro miliardi di euro e il governo è intenzionato a realizzarlo ci si rende conto dello squilibrio di fronte al quale ci troviamo. Per non parlare dell’autostrada Salerno/Reggio Calabra che è da anni il simbolo di come sia quasi impossibile realizzare infrastrutture nel nostro Paese. Simbolo di tutti i ritardi, teatro di morte e tragedie a causa del maltempo. Nel DPEF del 2002, l’allora governo Berlusconi prevedeva di terminare questa autostrada entro il 2006, oggi si pensa invece di concluderla nel 2013 (solo per i lotti finanziati si intende!). Mancano all’appello ancora 2,7 miliardi di euro che dovrebbero essere recuperati in sede Cipe, pensano i più ottimisti (“Il Sole 24 Ore”, 30 gennaio 2009)».
Per fare di Gioia Tauro una piattaforma logistica del Mediterraneo, sul taccuino di Guerriero sono annotate le stesse necessità di cui si sente invariabilmente parlare circa Bari, Taranto, Brindisi, Manfredonia, Salerno: valorizzazione delle aree retroportuali, consolidamento dei collegamenti stradali e ferroviari via terra, interazione con gli aeroporti (nel caso calabrese, Lamezia). Perché il germe dello sviluppo attecchisce: «A Gioia Tauro si è inoltre insediato un centro logistico per l’industria automobilistica gestito dalla società ICO BLG Automobile Logistic Italia, costruita come join venture tra la BLG Italia, controllata da BLG Logistic di Brema e la società ICO, controllata dalla giapponese NYK». Gira la testa? È semplice: capitali italiani, tedeschi e nipponici hanno investito in Calabra per «la distribuzione di autovetture in Italia, oltre che per la fornitura di piccoli servizi relativi al lavaggio o a piccoli interventi di verniciatura. Questa è la base –conclude Guerriero- per pensare a servizi di valore aggiunto come disassemblaggio o la distribuzione di parti di cambio».
Che significa? Per esempio: se volessimo, nel nostro piccolo, contribuire a migliorare il mondo comprando a marzo dell’anno prossimo la i-MiEV della Mitsubishi, l’auto che si ricarica con la presa di casa, dovremmo, allo stato, predisporci a eventualità come questa che si legge in uno dei forum Internet specializzati, indirizzata alla Mitsubishi Italia: “Cari amici, ho preso appuntamento per far sostituire le cuffie dei semiassi, dalla parte del differenziale anteriore che invece danno come ricambi, al prezzo di 40 euro l’uno, si sono tenuti l’auto una settimana per poi ridarmela come era prima poiché le cuffie non erano disponibili! Hanno detto che mi avrebbero avvertito quando fossero arrivate. Sono tre settimane che attendo. Forse devono arrivare dal Giappone, sicuramente le portano a piedi!!!!!!”, scrive “mimmo (Puccipucci)”.

Il mondo passa sotto casa e, passando a Gioia Tauro, incoccia nel problema di una “governance unica”. Esattamente come — tra provincia di Bari, Taranto e Matera, nel “distretto del salotto” — rispetto alla crisi devastante che, al 30 giugno 2008, ha ridotto a 163 aziende le 400 che operavano nel 2002, il «problema principale del distretto (…) è il fatto di operare tra due regioni. Questo vuol dire che in ogni riunione si riunisce una pletora di gente, se c’è il responsabile di Confindustria Basilicata deve esserci anche quello pugliese, stessa cosa vale per le API, e poi per le istituzioni e per il sindaco», dice, a Guerriero, Saverio Calia, titolare insieme al fratello della Calia Italia SpA.
E, anche in questo caso, la realtà moderna c’è: un fratello si occupa di design, l’altro di strategia finanziaria. Nel distretto del mobile imbottito c’è Natuzzi, ma anche Calia, appunto, Incanto, Soft Line, Sofaland, Chateaus d’Ax. Eppure il vanto di Saverio Calia, fino a quattro anni fa presidente di Confindustria Basilicata, riguarda la «semplificazione. Non aveva senso avere due presidenti provinciali e così oggi ne abbiamo solo uno, abbiamo fuso le due rappresentanze territoriali, sburocratizzando il sistema».

Una cosa analoga la dice Giovanni Punzo, padre del miracolo del CIS di Nola, in provincia di Napoli: «Nella patria del qualunquismo abbiamo dato un’identità ai nostri soci. Nessuno è proprietario, sono tutti azionisti. Il proprietario è il CIS, qualcosa di impersonale, che costituisce la chiave di volta del successo di questa iniziativa. Questo è l’unico esempio di un terziario non arretrato ma avanzato». È da leggere con grande attenzione il viaggio in un agglomerato dove si intrecciano «le quattro modalità di trasporto: ferro, acqua, gomma e aria. Il ferro della stazione ferroviaria, l’acqua del vicino Porto di Napoli e degli altri porti dell’Italia meridionale, la gomma dei camion, l’aria del vicino aeroporto di Napoli Capodichino». Il fattore di successo è lo stare assieme e la logistica è il tessuto connettivo: «All’interporto è presente anche la dogana che stocca le merci estere in massimo 48 ore –annota Guerriero-. Se pensiamo che al porto di Napoli alcune merci per essere stoccate restano anche 15 o 20 giorni, abbiamo idea dell’efficienza che regna in questa realtà». Efficienza che si perde appena fuori dai confini del CIS, lungo i ritardi dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria e dell’alta velocità e alta capacità ferroviaria Bari-Napoli.

Quando si entra nella “costellazione” dei produttori meridionali di vino, il discorso di complica ma arriva a conclusioni simili. Si complica perché la terra è ancora affare laborioso, come spiega nel libro Rino Botte di Barile, in provincia di Potenza, un destino scritto nel cognome e luogo di nascita. «Vogliamo fare un prodotto con uva aglianico cercando di realizzare tutte le potenzialità di un vitigno nobile –dice Barile-. Penso però che pesi la mancanza in materia di studi universitari e scentifici per una vinificazione di un prodotto raffinato ed eccellente. Nel vino ci vuole il tempo, dieci anni, per esempio, non sono tanti. Sono solo dieci vendemmie, dieci esperienze».
Secondo il produttore lucano «si fa molta fatica a vendere 100 mila bottilgie di Aglianico, invece è più facile vendere un milione di Chianti o 300 mila Barolo. Per questo bisogna lavorare molto sulla comunicazione che è un elemento che crea aspettativa, dà una motivazione, aiuta a fare sistema, oltre ovviamente alla qualità che è il presupposto senza il quale questo ragionamento non ha senso».

Se «non è più tempo di Casse del Mezzogiorno o di Ministeri per il Sud», le eccellenze indagate da Guerriero mettono in evidenza che, nel Sud, c’è ancora molto da fare per sostenere le eccellenze e riflettere la luce delle “stelle” in tutti gli angoli più bui del sistema Italia. Appare evidente che l’eccellenza spicca in misura inversamente proporzionale alla depressione e alle arretratezze del contesto. E che, per agire efficacemente sul contesto, occorrono rimedi straordinari e non la «normalità che trova un equilibrio nella mediocrità» che lamenta Callipo.

Per tornare a Gioia Tauro, il 25 giugno scorso si è tenuto a Villa San Giovanni (l’attuale “terminal” continentale sullo Stretto di Messina) il workshop “Logistica portuale e area di libero scambio mediterranea nel 2010”, prima riunione operativa dell’accordo che Regione Calabria e Regione Toscana hanno stretto per incrementare gli scambi con Marocco, Tunisia, Egitto ed Albania, a partire dalla modernizzazione e integrazione delle attività portuali tra Gioia e Livorno. Il progetto di collaborazione si chiama Inpromed (International Project of Mediterranean Area) e punta a creare una rete permanente di relazioni economiche tra i sei soggetti (le due regioni italiane e i quattro paesi mediterranei) a favore delle imprese che operano nei seguenti comparti: logistica, agroindustria, artigianato di qualità, meccanica e costruzioni.
Una cosa importante. Ma, se sei un’eccellenza, i problemi per consolidarti e svilupparti saranno ovviamente più evoluti. Guerrieri ha incastonato la “stella” calabrese tra Rotterdam, Amburgo, Anversa, Brema e Algerciras. La Commissione europea da tempo denuncia i limiti dell’organizzazione del lavoro nei porti del sud Europa evidenziando come, per scaricare la stessa quantità di container da una nave, a Valencia siano impiegate 300 persone mentre in un porto del nord Europa ne bastano appena 24.
Questa sfida “competitiva” in quale contesto socio-culturale tocca ingaggiare a Gioia?
Va considerata la permanenza della straordinarietà di un impegno antimafia che ha portato, negli stessi giorni in cui si parlava di portualità mediterranea, a sequestrare a Gioia Tauro beni per 10 milioni di euro al boss Giuseppe Piromalli (la metà di quanto il Commissario straordinario del Porto chiede urgentemente al Governo) e a concludere l’inchiesta contro il superboss Girolamo Molè, ritenuto dalla Direzione distrettuale antimafia attore dello sviluppo della cittadina, riuscendo a subordinare ai propri interessi l’attività deliberativa di approvazione del piano di recupero urbano con la finalità d’inserirsi nei lavori per la ristrutturazione della statale 111 e della A3 Salerno-Reggio Calabria?
In questo ultimo senso, occorre prepararsi a superare pagina 7 di “Stelle del Sud”, dove Guerriero devolve la parola a Roberto Ciuni, presentato come «un giornalista che al Sud ci ha vissuto e ha diretto “Il Mattino” di Napoli». Il tema è quello ormai classico dei “tanti Mezzogiorno”: «Una regione come l’Abruzzo è uscita dall’insieme delle aree svantaggiate (salvo poi domandare di rientrarci per fronteggiare un’emergenza terremoto che l’Italia non riesce a fronteggiare da sola, N.d.R.) così come difficilmente si potrebbe parlare di sottosviluppo per una regione come la Puglia. Anche la Sicilia –continua Ciuni- presenta una serie di potenzialità, come nel caso del turismo, che mettono in evidenza la vera vocazione dell’isola, così come da quelle parti sta rinascendo l’agricoltura, la viticoltura, Poi arriva uno scrittore come Saviano e distrugge tutto questo. Saviano aveva poca farina su Napoli per questo ha utilizzato quello che aveva su Caserta, ma anche qui stiamo parlando di una zona che ha una ricchezza incredibile nel comparto agroalimentare o di allevamento di bestiame».

Ecco: se una lezione viene dalle eccellenze “self-made” del Mezzogiorno osservate da Guerriero, è che non bisogna scadere nella “Cartoonia” di Jessica Rabbit («Non sono così, è che mi disegnano così»). Il Sud è una regione dell’Italia e dell’Europa dove le cose non girano come nel resto dell’Italia e dell’Europa: ad astra, sì, ma per aspera.

[Articolo uscito su “Sudest, quaderni”, n. 31 — luglio/agosto 2009]

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GiovanniDelloIacovo

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