La sera andavamo in Via Lecce. Anzi, “Nu”…

GiovanniDelloIacovo
13 min readOct 12, 2023

“La sera andavamo in Via Lecce” non è l’evocazione precisa del modo con cui Sabino Colangelo preferiva ragionare di politica. Il richiamo al celebre “La sera andavamo in Via Veneto”, libro scritto da Eugenio Scalfari per raccontare un trentennio di vita politica e culturale animata da un gruppo di liberali, non riflette quello che succedeva pressoché ogni sera, con “strusciate” neanche tanto lente lungo il marciapiede di Corso Roma.
Così Sabino Colangelo preferiva terminare la sua giornata, passata seduto a una scrivania, con un telefono a portata di mano e fogli bianchi densi di appunti, nomi, numeri di telefono, “schemi” di lavoro, brani attinti dalla lettura dei quotidiani.
Telefonava spesso ai giornalisti, sapendo quanto quel gesto fosse utile a costruire un rapporto, a rilasciare chiavi di lettura e anche a vellicare vanità, assai più dei comunicati stampa “urbi et orbi” di cui ormai si abusa.
Poi i circoli del partito, poi gli incontri, e via così, ogni giornata da segretario.
Che si concludeva lungo Corso Roma.

Un monosillabo “Nu”, seguito da una pausa, una piccola deglutizione accompagnata dallo sguardo rotetato ad acchiappare tutti i fili della giornata, precedeva la linea dettata al gruppetto che lo accompagnava negli scambi peripetatici: “Nu… noi dobbiamo…”.

L’intelligenza è stata la qualità più spiccata e evidente in Sabino Colangelo: un’intelligenza completa, estesa, cioè, al piano teorico e pratico. E tesa a includere, nella visione, la maggior parte delle variabili per orientarle in modo che influenzassero positivamente il risultato.
Un gioco sottile e difficile che non si può mai smettere di fare perché funzioni. Ma che, in definitiva, implica rispetto per tutti perché tutti — a prescindere da ruoli, cultura, soldi, potere, estrazione sociale — sono o possono essere funzionali allo “schema”. Nel cui “schema” rientra la conquista delle leve del potere perché attraverso di quelle si fa politica e si orientano le scelte verso i valori che confliggono nell’arena democratica.

Sabino Colangelo

Ho avuto esperienza diretta e intensa di queste qualità, visione e metodo, quando mi chiese di collaborare nel 2006, anno in cui, da vicesindaco di Foggia, si trovò per le mani l’oggetto misterioso della pianificazione strategica con cui un’altra testa pensante della sinistra pugliese, Francesco Saponaro, assessore al Bilancio e alla Programmazione della Giunta regionale presieduta da Nichi Vendola, aveva impostato l’approccio ai fondi di sviluppo e investimento europei 2007–2013, dopo la fallimentare gestione del ciclo 2000–2006 del governo regionale presieduto da Raffaele Fitto fino al 2005.
Ma il nostro rapporto era cominciato molti anni prima, nel 1998, quando volle conoscere il giornalista che, complice una fotografia che li ritraeva uno con un abito gessato e l’altro con un grosso sigaro, aveva cominciato un pezzo su di lui e Dino Marino con un incipit pesantuccio:

«Non sarà come la più famosa “notte di San Valentino”. Anche se certe facce ricordano i boss della Chicago anni ’30, al congresso del Partito Democratico della Sinistra, Sabino Colangelo e Dino Marino tenteranno un’operazione chirurgica. Rimuovere Costantino Bianco, con la stessa sostenibile leggerezza con cui lo promossero segretario cittadino della Quercia nel luglio 1996. Ora come allora, complice l’anestetico versato a piene mani sull’attività politica nella città, se ne accorgeranno in pochi».

Ho ritrovato l’intervista che facemmo cinque anni dopo, in un momento drammatico della città, quando, a otto mesi dal voto delle Comunali del 2004 che concludevano il ciclo decennale di Paolo Agostinacchio, dopo due anni di indagini, la Procura distrettuale antimafia di Bari aveva chiesto e ottenuto gli arresti di due vicepresidenti dell’Associazione degli industriali di Foggia, di due importanti imprenditori edili, e di quattro pregiudicati appartenenti ai clan mafiosi della “Società”, indagando altri imprenditori edili, l’assessore regionale all’Urbanistica, l’assessore comunale ai Lavori pubblici e un consigliere comunale, con l’accusa gravissima di associazione a delinquere di stampo mafioso e teorizzando un’alleanza per condizionare le pubbliche amministrazioni e per garantirsi la “protezione” dei clan.
Una settimana dopo, mentre crescevano le pressioni per uno scioglimento anticipato del Consiglio comunale, intervistai per il quotidiano che dirigevo, “La Grande Provincia”, Sabino Colangelo. Parlammo e discutemmo molto ma distillai esattamente il suo pensiero che quasi sillabò rispondendo alle mie domande. La lettura integrale illustra, secondo me, molto bene la tempra politica di Sabino e contiene lampi di straordinaria attualità.

Una premessa. Il giorno prima avevamo riportato alcuni brani di un’intervista rilasciata da Gherardo Colombo all’autore di un libro su Alex Zanotelli. Nell’editoriale che accompagnava l’intervista con Colangelo, chiosai la sorpresa di vedere che

«il campione delle manette — come è stato dipinto in anni di pubblicistica pseudo-garantista — svolga gli stessi ragionamenti che propone la politica, per esempio oggi attraverso le pa-role di Sabino Colangelo».

“Il rinnovamento — si trova a ripetere il magistrato del pool ‘Mani Pulite’- non poteva venire dalle indagini di Milano: i tribunali selezionano i comportamenti, ma non cambiano la cultura della gente, del loro modo di stare insieme, della loro concezione della cosa pubblica. Se un’occasione (persa) c’è stata, è stata fuori dal processo penale che è destinato soltanto alla verifica delle responsabilità personali di chi si suppone abbia commesso reati”.

Una riflessione che faceva il paio con il campione avversario, colui che, allo scopo, andò provocatoriamente a sfidare Antonio Di Pietro nel Mugello, contro-candidandosi al Parlamento. Giuliano Ferrara, alla sua maniera, ha emanato l’altroieri su ‘Il Foglio’ un ‘Avviso ai naviganti (e ai banditi).

“Sappiamo di avere difeso in termini di garantismo giuridico e di lotta civile anche tanti piccoli e meno piccoli banditi, gente che non c’entrava niente con il primato della politica e con la difesa delle libertà, perché della politica e della difesa dei diritti civili se ne infischiava: preferiva guadagni illegali, ville orrende con galoppatoio, stronzissimi gadget pagati con i soldi pubblici o con malversazioni private”. Quindi avvertiva, forse, come Pier Ferdinando Casini, sentendo i rumori sinistri che vengono da periferie come Brindisi e Foggia: “Se qualcuno fosse interessato, per qualsiasi ragione, a una replica benevola di questo atteggiamento, si disilluda. Le voci che si rincorrono, e qualche inchiesta che rivela retroscena malmostosi di mala amministrazione, dicono che, magari all’ombra delle battaglie garantiste, c’è gente che continua bellamente a usare il grimaldello. Pier Ferdinando Casini ha lanciato un suo allarme. È bene che anche il vertice della Casa delle Libertà si preoccupi di fare pulizia e di non incoraggiare comportamenti belluini. Noi stiamo sempre con una legalità non giacobina e amministrata in modo trasparente, ma l’amicizia politica con i banditi è cosa del passato”».

Insomma, il clima e il dibattito era questo: una specie di disarmo bilaterale ma una severità forte verso la politica recalcitrante a autoriformarsi. Lucio Tarquinio, all’epoca capogruppo di Forza Italia nel Consiglio regionale pugliese, aveva proposto lo scioglimento anticipato del Consiglio comunale di Foggia. Colangelo con Tarquinio aveva sempre mantenuto ottime relazioni e coltivato intese politiche. Ma, in quella drammatica occasione, quando si stava costruendo un progetto di centrosinistra per la città capoluogo, le opinioni divergevano radicalmente. In questo modo articolato e complesso…

«Lo scioglimento che propone Lucio Tarquinio è una risposta non appropriata. Servono risposte politiche. Questa crisi, causata dall’inchiesta giudiziaria, impone a tutti di dare risposte sul futuro della città. Il centrosinistra, paradossalmente, ha un compito oggi più difficile, perché deve articolare la sua proposta di governo alzando la posta».
Il segretario provinciale dei Democratici di sinistra ragiona senza pudore sugli esiti futuri della “emergenza” politica conseguita agli arresti della Direzione distrettuale antimafia. «Rafforzo l’appello a un centrosinistra allargato — dice –, ma il vincolo al programma sarà molto più impegnativo, rigoroso e selettivo».

Segretario, ha avuto tempo di ragionare sul trauma dell’inchiesta giudiziaria e ha avuto già numerose occasioni di incontro con gli altri partiti del centrosinistra. Anche lei avverte il senso di disorientamento generale?

Mi oriento in base a considerazioni politiche e, sul piano politico, posso dire che questa vicenda dimostra la strozzatura che ha subito lo sviluppo di Foggia. Diversamente penso che gli ultimi posti nella graduatoria della qualità della vita siano difficilmente decifrabili: osservo quale circuito perverso abbia riguardato quella che comunque resta una grande area produttiva e capisco perché questa realtà abbia perso colpi.
Vedo per intero la forza dirompente dell’inchiesta giudiziaria. Ma questa inchiesta conferma cose che sapevamo già, seppure su un piano né giudiziario né malavitoso.

Le reazioni di Camera di Commercio e Assindustria come le giudica, in questo senso?

Cercano le risposte che noi cerchiamo. E noi cerchiamo risposte non per via giudiziaria: il centrodestra ha fallito, sul piano politico, prima di questa inchiesta giudiziaria. Noi del centrosinistra non siamo straccioni che elemosinano la spallata dei giudici.

Cioè non considera troppo o solo difensiva la posizione espressa tanto da Luigi Lepri che da Nicola Biscotti.

Assindustria è una libera associazione, un soggetto sociale che ha avuto un ruolo fondamentale, per esempio, nel Contratto d’area, ma un ruolo che ha esercitato al fianco di altri soggetti sociali e, anche per questo, ha avuto risvolti positivi. Per quanto riguarda la realtà del capoluogo, è indubbio che vi sia stato un uso improprio e distorto di quell’associazione.
Ma Lepri e Biscotti hanno espresso la posizione di una categoria, quella degli imprenditori, che è assurdo criminalizzare per intero. Uno scenario di terra bruciata, di tutta una città marcia, mette in fuga le forze sane che ci sono nel mondo delle imprese, della cultura e anche della politica. Anche se queste forze sane, bisogna dirselo, non sono state quelle prevalenti.

E dunque, la vostra domanda qual è, nei confronti di un mondo produttivo con cui avete intrecciato un dialogo stretto, in questi anni?

L’autodifesa espressa tanto da Lepri che da Biscotti è la difesa dell’istituzione associazione. Ma, se è solo di facciata, non serve a nulla: occorre che, dietro quella difesa, si selezioni la nuova classe dirigente per gli imprenditori e per la città.

La questione riguarda anche voi, come parte politica che si candida al governo. Il centrodestra, con Paolo Agostinacchio, ha cercato di dare risposte a domande come la casa e il lavoro che, a Foggia, si esprimono con particolare virulenza. Il modo, diciamo così, discutibile con cui il centrodestra ha risposto vi restituisce intatto il problema della qualità con cui quei bisogni si esprimono.

Questo è il cuore del problema. Noi siamo consapevoli — e lo siamo da molto tempo prima che esplodesse lo scandalo giudiziario — che si sia chiuso un ciclo: questo per il centrodestra così come per il centrosinistra. Le elezioni provinciali ci hanno detto che abbiamo il dovere di esprimere una marcia in più, di stare particolarmente attenti alle strategie e alla proposta politica.
Insisto: a prescindere da questo ciclone giudiziario, per noi le Comunali di Foggia non si riducono solo a un problema di sostituzione del personale politico. Perciò abbiamo tanto insistito sull’idea di coalizione, sul lavoro intorno a progettualità su cui effettivamente si registri la coesione dell’intero centrosinistra.
Abbiamo il problema di esprimere idee forti per questa città, che introducano discontinuità con la vecchia azione amministrativa. La discontinuità si produce sulle nuove regole, su nuovi programmi di sviluppo per diversificare l’economia, su un rapporto forte con la cultura e con l’università, su progetti immediatamente riguardanti le piccole e medie imprese, su relazioni col sistema delle associazioni che svolgono un micro-lavoro di cui è molto ricca la nostra realtà.

E questa è la città dinamica che vedete, poi c’è quella del bisogno diffuso…

Per questo io penso, proprio guardando ai veri effetti di questa vicenda giudiziaria, che il compito per il centrosinistra sia, oggi, molto più difficile.
Nella scala delle priorità, la questione morale è stata proiettata al primo posto: non nei termini ”moralistici” posti dal sottosegretario Alfredo Mantovano. Io penso che la questione morale si affronti restituendo alla politica il suo primato. Non sto parlando della vecchia partitocrazia. Ma di fare cessare visioni dell’Amministrazione pubblica che si sono costruite su poteri e cordate personali, non filtrate dai partiti e dal patrimonio di progetti e idealità che questi rappresentano con la loro funzione di intercettare i diversi interessi della società.
Su questo crinale si è evidenziato il fallimento del centrodestra ma anche l’insufficienza del centrosinistra, come dimostra il caso di Brindisi. La questione morale non è solo giudiziaria. Il clima generale creato dal centrodestra a livello nazionale è stato di deregulation di valori e, da questo versante, Luciano Violante ha ragione. Tuttavia è un discorso che riguarda tutta la politica: anche nel centrodestra ci sono forze sane sebbene la prevalenza sia un’altra. Quello che so è che noi, questa questione, la affronteremo con forza.

Nel suo partito non c’è una questione di degenerazione personalistica, di carriera, di politica strumento per altro?

Gli episodi di rampantismo che si stavano creando li abbiamo affrontati con una battaglia politica per riaffermare i valori del partito, ripeto, come strumento di collegamento con gli interessi espressi dalla società. Sorvegliamo ogni passaggio e penso ne sia testimonianza anche la serrata discussione che abbiamo subito attivato dopo i clamorosi arresti di giovedì 9 ottobre. Sin dal giorno successivo è stata riunita la Direzione e venerdì prossimo abbiamo convocato il Coordinamento politico.
Abbiamo deciso di indire assemblee in tutte le sezioni del capoluogo per parlare con la gente. Nelle Conferenze programmatiche che precederanno le campagne elettorali di Foggia, come di San Severo e degli altri Comuni in cui si vota, la parte principale riguarderà i temi della criminalità, della trasparenza della pubblica amministrazione e della sicurezza dei cittadini.
Sappiamo già che, nel nostro programma di governo per Foggia, ci sarà un Assessorato alla Trasparenza, strumento su cui a Manfredonia è già stata avviata una riflessione. Proporremo un monitoraggio costante del sistema degli appalti in collaborazione con i sindacati, gli imprenditori, la Prefettura e le forze dell’ordine. Studieremo protocolli per la sicurezza e campagne pubbliche che coninvolgano gli enti locali in programmi di educazione alla legalità, appoggiandoci al grande lavoro delle associazioni e delle forze dell’ordine.

Si conosce la sua riottosità sul punto, ma la scelta del candidato sindaco per Foggia quanto sarà influenzata dalle ragioni ”postume” che valorizzano il lavoro della minoranza a Palazzo di Città e in particolar quello del suo leader, Orazio Ciliberti, rispetto a una generica censura di inefficacia che larga parte dell’opinione pubblica ha rivolto all’una e all’altro in questi anni?

Ha ragione. Quel lavoro è stato sottovalutato e penso anche per il malinteso ingenerato da un sistema degli enti locali che ha fortemente ridimensionato il ruolo dei consiglieri comunali. Riconosco che il centrosinistra ha fatto un’opposizione puntuale e anche politicamente forte: ci sono stati gli allarmi gridati, ma anche le proposte. Orazio Ciliberti è il capogruppo della Margherita, ma ho di lui una grande considerazione per l’ottimo lavoro che ha sviluppato. Il candidato-sindaco sarà scelta di tutto il centrosinistra ma, certo, non lo possiamo andare a prendere a Trieste. Ciliberti è una personalità del centrosinistra fondamentale per il nuovo progetto, però dico a prescindere dal fatto che sarà o no il candidato-sindaco.
In questa prospettiva un’altra personalità importante, da cui ripartire per un progetto per Foggia, è Ciro Mundi…

Quanto va riprecisata la sua strategia per un centrosinistra più allargato, l’appello che è parso indirizzarsi ambiguamente anche a settori del centrodestra?

Guardi, le ho detto prima che la nostra sfida, per gli inquietanti esiti di questi giorni, sarà più difficile perché convergenze e coesione dovranno misurarsi con proposte e valori in più. Ma resto convinto che la nostra proposta programmatica debba riguardare un centrosinistra molto allargato. Anzi, io ripropongo con forza l’appello a quelle forze che vogliono dislocarsi. Tuttavia avverto che saranno vincolati a un programma molto più impegnativo, rigoroso, selettivo.
A Foggia, nelle scorse elezioni provinciali, anche senza il valore aggiunto di Carmine Stallone e senza l’Italia dei valori — che comunque farà parte della nostra sfida -, i partiti del centrosinistra hanno raccolto consensi pari al 52 per cento. Ma la base della nostra sfida, ripeto, va allargata: a liste civiche e altre formazioni io apro non una ma due porte. C’è bisogno di un sussulto democratico della città.

Da anticipare con uno scioglimento immediato del Consiglio comunale, come dice Lucio Tarquinio?

Ci aspettiamo che l’assessore Bruno Longo si dimetta, non per anticipare un giudizio che spetta ad altre sedi, ma per la continuità senza sospetti dell’azione amministrativa. Ci aspettiamo che una parola la dica anche il sindaco Paolo Agostinacchio. Se dico questo è anche perché ritengo che lo scioglimento anticipato del Consiglio comunale sia, in questa fase, la risposta non appropriata.
La crisi attuale non chiede, alla politica, risposte circa il coinvolgimento di Tizio o Caio nei fatti che emergono dall’inchiesta della magistratura. I massimi dirigenti politici di questa città devono dare risposte politiche circa il futuro di Foggia.

La conferma di visione e di una prassi politica può andarsi a ripescare anche molti anni prima quando, a 29 anni, da segretario del Partito Comunista Italiano di Foggia, svolgeva questo ragionamento sulle pagine dell’edizione domenicale, la più diffusa, de “l’Unità”, in relazione all’intesa tra Democrazia Cristiana, PCI, Partito Socialista Italiano, Partito Social Democratico Italiano, Partito Repubblicano Italiano e Partito Liberale Italiano che stava dando vita a una nuova Amministrazione comunale.

Anche qui una premessa: parliamo di circa mezzo secolo fa, era il 1976, il PCI aveva raggiunto il massimo del suo consenso arrivando a 4 punti percentuali dalla DC alle elezioni politiche del 20 e 21 giugno e analoghi accordi di “solidarietà nazionale” si stavano siglando alla Regione Puglia; in piena estate, si era formato un Governo nazionale tutto DC guidato da Giulio Andreotti, con l’astensione del PCI nel voto di fiducia.
Erano gli esiti del “compromesso storico” che Enrico Berlinguer aveva lanciato per impedire derive autoritarie, proponendolo subito dopo il colpo di stato che, nel 1973, aveva rovesciato Salvador Allende instaurando in Cile il regime militare di Augusto Pinochet.
Nel 1974 ci sarà l’attentato neofascista di Piazza della Loggia a Brescia, che, tra gli 8 morti, uccise anche il 25 enne insegnante foggiano Luigi Pinto, e le bombe sul treno Italicus.
A giugno, si era votato alle Comunali di Foggia insieme alle Politiche. La DC aveva raccolto il 41,1% dei voti e si era vista attribuire 22 seggi, il PCI il 22,9% dei voti e 12 seggi, il PSI l’11% dei voti e 5 seggi, il Movimento Sociale Italiano — Destra Nazionale il 10,2% e 5 seggi, il PSDI il 9,6% e 5 seggi, il PRI il 2,5% e 1 seggio. La matematica della distribuzione dei seggi è importante da considerare perché le maggioranze si formavano in Aula e in Aula erano eletti i sindaci. Solo a novembre del 1976, a Foggia, si riesce a varare, dunque, una giunta del “compromesso storico” e Sabino Colangelo vergava queste parole:

«L’astensione del PCI sulla elezione del sindaco e della giunta di Foggia, formata da Democrazia cristiana e Partito Socialdemocratico, si fonda su un accordo fra tutti i partiti democratici della città. L’accordo espresso in un importante documento riconosce la caduta della pregiudiziale anticomunista e la necessità di un nuovo metodo di gestione della cosa pubblica che veda l’apporto costruttivo e paritario di tutti i partiti democratici, compreso il PCI, il quale parteciperà alla gestione degli enti di derivazione totale o parziale del Consiglio comunale, ai Consigli di quartiere, alle Commissioni consiliari e alle aziende municipalizzate, a parità di condizione con tutti gli altri partiti. Si ribalta così il vecchio metodo della lottizzazione tra maggioranze precostituite e discriminatorie nei confronti del PCI così largamente usato nel passato.
Il programma infine verrà concordato e gestito comunemente da tutte le forze firmatarie, che periodicamente ne verificheranno l’attuazione. Come si vede, non si è potuto dare alla vicenda comunale nessun’altra soluzione che non tenesse conto dell’apporto delle proposte del PCI e della spinta rinnovatrice del 20 giugno.
Ormai è finita anche a Foggia l’epoca che il Partito comunista si esprimeva solo come forza di opposizione. Si tratta ora di gestire questa nuova fase della vita politica cittadina sviluppando un’intensa partecipazione popolare per consolidare la solidarietà tra le forze politiche democratiche e antifasciste. È tempo ormai di cominciare ad affrontare i problemi della città. Più impegnativi si fanno i compiti dei comunisti, maggiori le loro responsabilità, come è giusto che sia per un partito che ha aumentato in modo notevole la propria influenza tra i lavoratori».

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GiovanniDelloIacovo

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